Negli anni la statistica ha assunto una sempre maggiore importanza, studiando i fenomeni collettivi, con lo scopo di aiutare a prevedere il ripetersi di eventi futuri e ridurre il margine di incertezza (e quindi di errore) di determinate scelte. A sua volta, un insieme di osservazioni ordinate rispetto al tempo, capace di esprimere la dinamica di un certo fenomeno nel tempo, assume il nome di serie storica.
Uno dei maggiori ambiti di applicazione è indubbiamente quello finanziario. Con l’enorme sviluppo avuto dai servizi finanziari (basti pensare alle decine di migliaia di fondi comuni d’investimento oggi a disposizione dei risparmiatori, in grado di spostare flussi di denaro inimmaginabili da un settore all’altro piuttosto che da un’area geografica all’altro), questa scienza ha conosciuto una crescita parallela: qualsiasi asset manager oggi non può prescindere, per una corretta gestione di un portafoglio, da un’analisi “storica” delle asset class che lo compongono. Anche se la storia, come sappiamo, non si ripete mai uguale, “spesso fa rima”. In altre parole, osservando nel tempo determinati fenomeni, si può notare che le reazioni, per quanto sia cambiato il momento storico e si siano modificati i modi di vivere, sono simili, sia che si parli di mercati finanziari che di comportamenti individuali.
L’utilizzo di questo strumento statistico, applicato agli strumenti finanziari, non è certo “garanzia di rendimento”, ma può senza dubbio aiutare non poco nell’indirizzo di alcune scelte di investimento.
Si fa, per esempio, un gran parlare, oggi, delle “big five” (fino a poco tempo fa, per tornare ai tanto “cari” acronimi, erano le Faang – Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google, ora, invece, Microsoft, Apple, Nvidia, Amazon, Alphabet-Google): 5 società che da sole valgono circa il 25% dello S&P 500, il listino più rappresentativo al mondo.
Proprio una decina di giorni fa, per la prima volta nella sua storia, lo S&P 500 è salito oltre quota 5.000: in soli 4 anni, cioè, è stato capace di raddoppiare il livello toccato a marzo 2020, nei giorni drammatici della pandemia. Il contributo dei “big five”, in tal senso, è stato determinante: per es, Apple è passata da circa $ 70 a $ 182, Amazon da $ 50 circa a $ 169, Alphabet-Google da circa $ 55 a $ 140. E via dicendo (clamoroso il rialzo di Nvidia negli ultimi 12 mesi, + 230%).
Guardiamo esterrefatti a questi numeri, e “al peso” di queste società sugli indici (e, di conseguenza, al loro “contributo” alle performance).
Ma se volgiamo lo sguardo al passato, scopriamo che le cose, qualche anno fa, non erano poi così diverse. Negli anni 70 alcuni dei fondatori delle “big tech” non erano probabilmente ancora nati o erano poco più che bambini. Ma esistevano comunque altre “big five”. I loro nomi erano Ibm, AT&t, General Motors, Eastman Kodak, Exon, settori tra loro molto diversi e “meno collegati” dell’universo rappresentato dalle loro “alter ego” attuali. Ma con un peso esattamente analogo al loro: il 25% del valore dello S&P dell’epoca.
Tornando all’oggi, è difficile che il peso delle “big five” possa ulteriormente crescere, portando ad una ulteriore concentrazione l’indice. Anche perché hanno raggiunto un valore di mercato, come si dice, abbastanza “tirato”, che diventa arduo giustificare. Nvidia, per esempio, ai valori attuali vale 33 volte gli utili attesi: ci vorrebbero, cioè, 33 anni dei profitti attesi per ripagare il capitale investito da chi volesse comprare la società (ma in passato si è visto molto di peggio).
Detto questo, la maggior parte degli analisti e degli economisti vede ancora spazi di crescita per i listini (anche se inferiori ai poderosi ritmi messi in atto da fine ottobre): per quanto il numero dei tagli dei tassi ipotizzato sia oggi circa la metà (3 vso 6) di quelli previsti non più tardi di poche settimane fa, è indubbio che le banche centrali andranno in quella direzione, cosa che non potrà che fare da “benzina” per il mercato azionario e, forse ancor di più, per quello obbligazionario, soprattutto in qualche particolare segmento (vd bond high yeld).
Dopo la chiusura di ieri, oggi riapre la borsa americana.
Intanto i mercati del Pacifico proseguono le contrattazioni in maniera non uniforme: si appresta a chiudere appena debole il Nikkei di Tokyo (- 0, 28%), comunque non lontano dai massimi degli ultimi 35 anni fatti segnare la settimana scorsa.
Dopo la debolezza in apertura, si sono portate sopra la parità Shanghai e, a Hong Kong, l’Hang Seng, entrambi n crescita dello 0,30% circa.
In calo, a Seul, il Kospi (circa – 1%).
I futures al momento indicano “tempo nuvoloso, con piogge qua e là” (cali tra lo 0,20 e lo 0,30% sia di qua che di là dell’Oceano).
Dopo il rialzo di ieri, consolida questa mattina il prezzo del petrolio (WTI $ 78,45, – 0,14%).
Gas naturale Usa ancora sotto pressione, a $ 1,559 (- 3,36%): il calo, da inizio anno, è stato superiore al 40%.
Oro stabile, a $ 2.034 (+ 0,41%).
Spread a 147,9, per un BTP a 3,89%.
Bund sempre intorno al 2,40% (2,41).
Treasury Usa 4,28%.
Poco mosso l’€/$, a 1,0769.
Bitcoin sempre nei “paraggi” dei $ 52.000 (51.936).
Ps: esistono, come sappiamo, molte forme di dipendenze. Spesso gravi. Una gravità che è ancora maggiore (e più pericolosa) quando riguarda i ragazzi, soprattutto se in giovanissima età. La più diffusa (e probabilmente dannosa) è quella relativa all’uso del cellulare. Ma forse siamo ad una svolta. In Gran Bretagna (dove si calcola che il 97% dei bambini a 12 anni ne possieda uno), infatti, il Governo ha reso note le “linee guida” con cui intende combatterne l’uso. Cominciando, ovviamente, dalle scuole. Sarà, quindi, vietato non solo l’uso, ma anche (a discrezione dei vari Istituti) portarlo in classe o, addirittura, a scuola (anche per evitare che “googolare” diventi una materia di studio…).